La Logica della Testimonianza

(Tratto dal mio libro "Verità Terrene")

Esiste una logica di verità fondamentale che caratterizza tutta la Bibbia; è una logica che non ha trovato degna considerazione tra coloro che si sono professati esperti conoscitori delle scritture bibliche, e che è stata sottovalutata e non capita anche dai più grandi teologi della storia.
Lo stesso credo cristiano, pur conoscendo tale logica di verità, di fatto la ignora totalmente: “La Logica della Testimonianza”.

Questa logica attesta che una testimonianza affermata è vera, quando essa è resa vera per mezzo della testimonianza di persona degna di credibilità, in cui la credibilità di detta persona, deve essere testimoniata da altra persona degna di credibilità, come del resto e comunque, qualsiasi persona rende testimonianza della sua propria identità attraverso le sue stesse opere, rifacendoci pertanto al concetto di Verità Assoluta che dice:
Ogni verità affermata, deve essere confermata da un'altra verità appurata” (Libro Primo – Capitolo 7).

Questo concetto è essenziale e determinante per tutta la Bibbia, al punto tale che proprio sul merito della “Testimonianza” venne agli uomini dato dal “Dio Jahvè”, un comandamento specifico: “Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo”, conosciuto come l'ottavo dei “Dieci Comandamenti” dati a Mosè.
Tutta la esegesi della morale e della dottrina ebraica antica da cui ne è scaturita la Bibbia a noi pervenuta, era incentrata su questa questione fondamentale, perché tale questione fu parte integrante della formazione della coscienza antico testamentaria, ed anche di tutte le culture sociali delle civiltà di cui narra l'Antico Testamento.

Nella Bibbia cattolica, e comunque in tutti i testi paralleli ed equivalenti, la parola “testimonianza” riferita a tale concetto, compare all'incirca 220 volte, in contesti che volutamente intendono marcare la filosofia di pensiero che si prefigge elevare tale principio di “Logica della Testimonianza”.
In Gv 5, 30-32 vi è scritto: “Io non posso far nulla da me stesso; giudico secondo quello che ascolto e il mio giudizio è giusto, perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato. Se fossi io a render testimonianza a me stesso, la mia testimonianza non sarebbe vera; ma c'è un altro che mi rende testimonianza, e so che la testimonianza che Egli mi rende è verace”. Dunque, persino Gesù osservò scrupolosamente il principio della “Logica della Testimonianza”, Egli stesso affermando e riconoscendo che “Se fossi io a render testimonianza a me stesso, la mia testimonianza non sarebbe vera”.

Ma oltre a persona terza che deve rendere testimonianza di autenticità di una persona, vi devono essere anche le opere che tale persona compie, perché ripetendoci “La Logica delle Testimonianza afferma che una testimonianza affermata è vera, quando essa è resa vera per mezzo della testimonianza di persona degna di credibilità, in cui la credibilità di detta persona, deve essere testimoniata da altra persona degna di credibilità, come del resto e comunque, qualsiasi persona rende testimonianza della sua propria identità attraverso le sue stesse opere”.

Ed infatti Gesù, nel rispetto della “Logica della Testimonianza”, fece opere miracolose che potessero renderGli testimonianza, Egli stesso affermando “Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non volete credere a me, credete almeno alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me e io nel Padre" (Gv 10,37-38).

Tornando alle parole di Gesù che affermano Se fossi io a render testimonianza a me stesso, la mia testimonianza non sarebbe vera”, va ricordato che in codesta logica di dottrina di pensiero cristiana ed ebraica, a Gesù rese testimonianza Giovanni Battista, riconosciuto come il profeta, al quale resero testimonianza le Scritture antico testamentarie (Is 40,3-5), alle quali a loro volta resero testimonianza i profeti dell'Antico testamento per mezzo della parola del Signore Jahvè, al quale però nessuno rese testimonianza in quanto egli dichiaratosi “Dio Padre Onnipotente” (Gen 17,1), mentre invece Gesù mai si sottrasse alla”Logica della Testimonianza”...

Ma perché è così importante analizzare questa logica di pensiero?

Nel libro della Genesi si parla di un “Dio” creatore che generò il primo uomo e la prima donna, ad essi presentandosi come il “Dio Buono e Giusto”, ma di fatto ad essi vietando il diritto della conoscenza del bene e del male (Gen 2,17 – Capitoli 4 e 5 del presente libro).

Ma se all'uomo fu vietata la conoscenza del bene e del male, come poteva egli sapere chi effettivamente era il “Dio” Jahvè, e come poteva l'uomo essere sicuro della sua bontà, non essendoci nessuna persona che potesse rendere testimonianza di Jahvè, e non essendoci nessuna opera buona da egli compiuta?

Chi difende la dottrina che insegna la giusta e caritatevole divinità del “Dio” Jahvè, sostiene che la creazione fu “opera buona e giusta”, come d'altronde è lo stesso libro della Genesi affermare testualmente Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina: sesto giorno” (Gen 1,31), e dunque è secondo essi l'opera stessa della creazione a rendere testimonianza al “Dio” Jahvè.

Ma costoro dimenticano che la creazione di Jahvè, non è un'opera caritatevole come quelle che furono di Gesù, quanto invece è solo un'opera di compiacimento verso se stessi, come è lo stesso testo in Gen 1,31 a dichiararlo, mentre invece nei confronti dell'uomo non vi fu opera caritatevole come potrebbe sembrare con la creazione della donna e degli animali, che la Genesi sostiene essere stati fatti per “tenere compagnia” all'uomo (capitolo 2 della Genesi), come d'altronde non è opera caritatevole la stessa vita data all'uomo, perché poi, a motivo della “disobbedienza” essa diverrà verosimilmente “infernale”, in cui l'uomo dovrà uccidere per vivere, ed in cui l'unica legge che il “Dio” Jahvè concepì per la realtà umana, fu la “Legge del più Forte”, in cui “vita uccide vita per rimanere in vita”.

A motivo dunque della “disobbedienza”, la vita “paradisiaca” dell'uomo diverrà a tutti gli effetti una vita infernale; ma veramente l'uomo disobbedì al “Dio” Jahvè?

Il “serpente tentatore” suggerì ad Adamo ed Eva di mangiare del frutto proibito, cioè suggerì loro che vi fosse la possibilità che il “Dio” creatore non volesse che l'uomo divenisse al pari di chi lo aveva creato, proprio per mezzo di quel patrimonio di conoscenza del bene e del male che Jahvè vietò all'uomo (Gen 3,5 in cui testualmente vi è scritto: “Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male”).

Il serpente dunque non mentì all'uomo, perché è vero che chi realmente conosce il bene ed il male, è detentore della Conoscenza Universale, e dunque è detentore di una conoscenza al pari di quella divina, che porterebbe l'uomo ad essere di pari entità sapienziale come di quella divina.

E' invece vero che fu il “Dio” Jahvè a mentire all'uomo (come poi fece anche con Abramo – Capitolo 8), perché nonostante che l'uomo avesse mangiato del frutto della conoscenza del bene e del male, di fatto l'uomo non divenne per nulla detentore di qualsiasi conoscenza, perché se l'uomo avesse posseduto o possedesse tale conoscenza, non si ritroverebbe nella drammaticità della sua realtà odierna, e passata che fu.

In questo, il “Dio” Jahvè non osservò il principio del suo stesso ottavo comandamento, in cui si dice “Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo”, perché come detto, non è vero che quel frutto proibito era la “Conoscenza del Bene e del Male”, quanto invece esso essere solo un inganno, una subdola trappola in cui prima o poi l'uomo sarebbe caduto a motivo dell'ignoranza in merito a cosa e giusto e non giusto, ed a motivo del lecito dubitare dell'uomo che Jahvè non fosse un “Dio” buono e giusto, perché nessuno rese testimonianza di egli ad Adamo ed Eva, quando invece fu loro diritto che vi fosse testimonianza di Jahvè, per mezzo di terza persona.


E' vero invece che il “Dio” Jahvè mise il serpente (la persona terza) innanzi all'uomo, esso rendendo testimonianza del contrario di quanto il “Dio” Jahvè volle far intendere all'uomo, cioè in pratica “una trappola nella trappola”, o forse meglio “il detonatore della trappola”.

In conclusione, Adamo ed Eva non potevano essere certi dell'identità del “Dio” Jahvè, sia perché furono relegati ad uno status di ignoranza in merito a cosa è bene e cosa è male, sia perché nessuno poté loro rendere testimonianza della bontà e della veridicità della persona di Jahvè.

Inoltre, vi è quella pena da Jahvè inflitta all'uomo, che non è proporzionale al crimine commesso, perché il crimine fu commesso proprio a motivo del fatto che l'uomo non conobbe che differenza vi fosse tra le cose buone e quelle cattive, tra il bene ed il male delle proprie azioni... conoscenza questa negata proprio da chi lo pone nella tentazione, e poi lo punirà ad una condanna che si ripercuoterà sugli innocenti delle generazioni a venire, quando invece una testimonianza della bontà del “Dio” Jahvè, sarebbe stata la condanna ad una sanzione, e non ad una pena, perché la sanzione è cosa limitata nel tempo, con conseguenze minime e con l'intento di richiamare ed educare, mentre la pena è un qualcosa di definitivo, con conseguenze estreme e drammatiche, e con nessun intento di richiamo e di insegnamento, per l'appunto... la realtà terrena dell'uomo.

Dunque, oltre a non esserci stata persona terza alcuna a dare testimonianza di Jahvè, la sua stessa opera di punizione verso l'uomo è testimonianza della crudeltà e dell'incapacità di essere giusti nei confronti di una creatura “incapace di intendere e volere” cosa sia giusto e non giusto, cosa sia bene e cosa sia male.

Esiste una logica di Verità Assoluta alla quale neppure il Dio Padre Onnipotente può sottrarsi, pur Egli stesso essere l'essenza della Verità Assoluta.
V'è infatti il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, ma vi è anche la Verità Assoluta che è Madre del tutto; il tutto infatti nacque da una verità di logica, e tale logica è logica di perfezione, ed essa, essendo perfetta, è l'apice del tutto.
E dunque anche il Padre deve ad Essa rendere conto, perché la Verità Assoluta è Colei che tutto rende vero, assoluto, inviolabile ed osservabile.
Ed Essa, essendo vera e giusta, rese giustizia proprio a Se stessa, rendendosi partecipe per mezzo della creazione della vita, essa scaturente dalla logica di Verità Assoluta che stabilisce essere vero e giusto, la partecipazione e la condivisione di se stessi con un'altra vita pari a se stessi.
E' questo il primo principio di Verità Assoluta.
E dunque, la Verità Assoluta generò la persona del Padre, affinché venisse osservato il principio fondamentale della Verità Assoluta, che è proprio quel principio che rende testimonianza vera di se stessi, rendendo se stessi partecipi con altri pari a se stessi.
Ma poi la Verità Assoluta volle rendere testimonianza di Se stessa nel secondo principio fondamentale di Essa stessa, che stabilisce la partecipazione di se stessi con un'altra vita pari a se stessi, che si rende serva di colui che l'ha generata.
Ed il Padre, generò il Figlio.

Ed avvenne che la Verità Assoluta volle completare la trinità di verità di Se stessa, perché vi è il terzo principio fondamentale di Verità Assoluta, che stabilisce la partecipazione della perfezione verso l'imperfezione, ed avvenne che vennero create le creature celesti, esse non perfette e soggette all'errore, perché solo l'errore può dare vita ai Sette Spiriti di Dio, che sono:
comprensione, rispetto, sincerità, lealtà, umiltà, fedeltà e perdono (Libro Secondo – Capitolo 7).
Se infatti vi è solo perfezione, i Sette Spiriti di Dio non possono venire all'esistenza, e tutto questo avvenne per opera dello Spirito Santo, Colui che è perfetto e servo fedele della Verità Assoluta.
E' infatti per mezzo dello Spirito Santo che il Padre ed il Figlio rendono Se stessi servi fedeli di Se stessi e della Madre di tutte le Verità Assolute, perché lo Spirito Santo è fedele testimone e servo della Verità Assoluta, Essa essere il mistero che si antepone all'Alfa e si pospone all'Omega.
In verità vi dico, coloro che credono in una Madre, credono in colei che non è la Madre Assoluta, ed essi credono in un Dio che non è il Dio Assoluto.

Quando comprenderete quanto vi ho detto, se siete credenti, entrerete nella fede autentica accusando il vostro stesso credo, e se non siete credenti, cercherete un credo in cui credere, perché la fede già la possedete in una forma che è comunque superiore al credo dogmatico di chi professa una sterile religione.
La fede più grande che infatti possiede un non credente, è quella in se stesso, mentre il credente affidandosi totalmente alle preghiere ed alle cose misteriose che non comprende, dimostra non avere neppure la fede in se stesso.




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