Il Dogma dell'Incarnazione



Veniamo dunque ora al dogma che la Chiesa Cattolica ha definito "dell'incarnazione", che sostanzialmente sostiene che Gesù è vero uomo ed al contempo vero Dio fattosi uomo.



Questo dogma venne definito in vari sinodi e concili, arrivando alla sua formulazione definitiva nel 451 d.c., per mezzo del "Concilio di Calcedonia", e dice questo:


Seguendo, quindi, i santi Padri, all'unanimità noi insegniamo a confessare un solo e medesimo Figlio: il signore nostro Gesù Cristo, perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità, vero Dio e vero uomo, [composto] di anima razionale e del corpo, consostanziale al Padre per la divinità, e consostanziale a noi per l'umanità, simile in tutto a noi, fuorché nel peccato, generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, e in questi ultimi tempi per noi e per la nostra salvezza da Maria vergine e madre di Dio, secondo l'umanità, uno e medesimo Cristo signore unigenito; da riconoscersi in due nature, senza confusione, immutabili, indivise, inseparabili, non essendo venuta meno la differenza delle nature a causa della loro unione, ma essendo stata, anzi, salvaguardata la proprietà di ciascuna natura, e concorrendo a formare una sola persona e ipostasi; Egli non è diviso o separato in due persone, ma è un unico e medesimo Figlio, unigenito, Dio, verbo e signore Gesù Cristo, come prima i profeti e poi lo stesso Gesù Cristo ci hanno insegnato di lui, e come ci ha trasmesso il simbolo dei padri.


Da tale principio dogmatico, venne dunque formulata la preghiera del "Credo" che noi tutti abbiamo imparato e che ancora oggi si recita nella santa messa cattolica.

Premesso tutto questo, veniamo all'analisi della questione.

Ci sono due vangeli canonici che riportano alcune parole pronunciate dal Cristo Gesù in punto di morte.
Queste le parole che trovate in Matteo 27,46 ed in Marco 15,34: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?"

Sono parole pesantissime, direi sconvolgenti!
Probabilmente, nessuno di noi le ha mai pesate e valutate seriamente.
Queste parole infatti manifestano sconforto nell'animo e senso di abbandono in colui che non avrebbe mai immaginato, che la persona in cui credeva, lo avesse lasciato a se stesso.
Queste parole sono una domanda che manifestano "dubbio".
Le parole "Perché, mi hai abbandonato?" sono una autentica domanda che in realtà esprime un pensiero al quale non si trova spiegazione per quanto avvenuto, e dunque il dubbio subentra alle certezze.
Innanzi alla certezza della morte imminente in quei momenti di estrema sofferenza, il Cristo manifesta un dubbio evidente ed enorme, che lascia tutti noi ancora più sconvolti, se si considerano le parole di Marco che dicono "...Gesù gridò con voce forte" e di Matteo che scrive "...gridò a gran voce.".
Questo gridare, sottolinea la drammacità dei fatti, lo sconforto del Cristo, il tremendo senso di abbandono, l'incomprensione per quanto sta' avvenendo e dunque il dubbio, cioè il non comprendere i fatti, poiché sono venuti improvvisamente a mancare alcuni presupposti fondamentali che erano stati dati per scontati, cioé "il non ti abbandonerò mai, qualsiasi cosa accada" sembra venir meno, affermazioni queste che richiamano alla mente quelle famose parole del Cristo, che dicono: "Ecco, sono con voi tutti i giorni, fino alla fine dei tempi" (Matteo 28,20).
Anche noi, innanzi alla drammacità ed alla sofferenza, pur nella fede, spesso "gridiamo" a Dio quel "perché ci hai abbandonato?" che manifesta lo scomparire delle nostre certezze per lasciar posto alle incertezze.
Qualcuno potrà obbiettare che quelle parole non manifestano dubbio, ma disperazione umana o altra cosa.
Rispondo che comunque, la disperazione manifesta incertezza, cioè mancanza di certezza e la mancanza di certezza è dubbio, perché infatti il dubbio non può darci certezza alcuna.
La disperazione è lo stato d'animo in cui riversiamo quando le cose da noi ritenute fondamentali, essenziali ed insostituibili, non le abbiamo più, e se non abbiamo più le cose fondamentali a noi necessarie, inevitabilmente cadiamo nella disperazione, che è incertezza e che a sua volta è dubbio.
Comunque sia e comunque le si vogliano considerare e definire tali parole del Cristo, una cosa è indiscutibile:
QUELLE PAROLE DETTE DAL CRISTO, NON POSSONO IN NESSUN CASO, ESSERE CONSIDERATE COME APPARTENENTI AD UN QUALSIASI CONTESTO DI "PERFEZIONE".
LA PERFEZIONE, PER SUA NATURA E PER SUA STESSA DEFINIZIONE, NON PUÓ AMMETTERE E CONSIDERARE LO SCONFORTO, L'INCOMPRENSIONE, LA DISPERAZIONE, IL DUBBIO, IL SENSO STESSO DI ABBANDONO, poiché tutte queste cose (e simili), sono lacunose e deficienti in qualcosa, cioè mancanti in qualcosa, dunque non perfette.
La certezza, la sicurezza, la fermezza, la costanza, la determinazione e via dicendo, sono cose che possiamo inserire in un qualsiasi contesto di "perfezione", ma sicuramente, il senso di abbandono non lo si può in nessun caso considerare e di inserire in contesti di "perfezione".
Negare questo, non saprei proprio come definirlo...


Poniamoci ora una domanda: "Chi pronunciò tali parole? Il Cristo come uomo o il Figlio incarnato come uomo?"

Prima di risponderci, prendiamo in analisi le parole pronunciate dal Concilio di Calcedonia che intende definire la verità dogmatica dell'incarnazione.
Dice il concilio: "...il signore nostro Gesù Cristo, perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità, vero Dio e vero uomo... da riconoscersi in due nature ".
Quali sono dunque queste due nature?
Lo dice la definizione dogmatica qualche riga prima nelle parole "perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità", cioè il Cristo è secondo la Chiesa Cattolica composto da due persone distinte, che sono una di natura umana e l'altra di natura divina.
La natura umana è Gesù, figlio di Maria ed è quel Gesù che tutti conosciamo e di cui abbiamo appreso dai vangeli, quel Gesù insomma fatto di carne che ha vissuto fra gli uomini.
La natura divina è invece il Figlio, cioè la seconda persona della Santissima Trinità, che è composta dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo.
Dunque, secondo il Concilio di Calcedonia che si é pronunciato in questioni di dottrina irreformabile (dogmatica), nella persona del Cristo, coesistevano due nature, quella umana e quella divina che sempre secondo tale concilio, tali due nature, pur distinte, sono fra loro "immutabili, indivise, inseparabili", come da loro testuali parole.

Torniamo dunque alla domanda di cui sopra, in cui ci domandiamo chi fosse stato a pronunciare quelle tremende parole di sconforto.
1) Se fu la natura divina a pronunciarle, decade tutta la fede cattolica, poiché ci troveremmo innanzi ad una natura divina non perfetta proprio a motivo di tale sconforto e tale dubbio, o di qualsiasi altra cosa (che è imperfetta) la vogliate chiamare. Inoltre, poiché la Chiesa Cattolica insegna che il Dio trinitario è composto dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo, avremmo il Figlio nella figura del Cristo, che si sente abbandonato dal Padre, il cui Padre é anche il Figlio in virtù della figura trinitaria e dunque la natura divina del Figlio si trova a dubitare di se stessa, si sente abbandonata da se stessa. Prima di essere assurdo, è già inaccettabile e viceversa!
2) Dunque, non possiamo far altro che ragionare in merito alla natura umana, poiché altro non rimane. Se allora fu la natura umana ad esprimersi in tali parole, sorgono però altre questioni non meno inaccettabili e non meno gravi.
Prima però di arrivare al dunque della questione, il Concilio di Calcedonia, insegna (loro testuale parola) che la natura umana del Cristo è perfetta e dunque chiediamoci cosa significa quel "perfetto nella sua umanità".
Se quel "perfetto" fosse riferito al puro aspetto carnale (cioè materiale), il dogma si smentisce da solo, poiché invece esso afferma "[composto] di anima razionale" (oltre ovviamente di carne).
Dunque la natura umana del Cristo è da considerarsi nell'unione di anima e corpo. Se allora parliamo di unione di anima e corpo, la "perfezione" di cui parliamo é da intendersi nell'unità con il Padre, cioè una natura umana che è in perfetta unità con il Padre nello spirito e nell'anima (non può esserlo nella carne, è ovvio per tutti credo... perché metteremmo tutto, compreso Dio, su un puro piano materiale).

Questa "perfezione" della natura umana, altro non può essere che unione dell'anima e dello spirito della stessa natura umana del Cristo, con il Padre, perché infatti, quella perfezione umana diventa assolutamente necessaria per poter giustificare un'altra affermazione del concilio che dice "simile in tutto a noi, fuorché nel peccato".

Ma a questo punto, sorge spontanea la domanda: "Possiamo parlare di perfezione della natura umana in un contesto di anima e spirito nell'unità con il Padre, ed al contempo esprimere un marcato e disperato sentimento di senso di abbandono verso colui che sappiamo essere il nostro Dio e Padre?".
Vediamo di essere più precisi: una natura umana "perfetta", lo deve essere anche nell'anima e nello spirito, poiché tale è la condizione per essere congiunti al Padre una volta che passeremo alla vita eterna, se meritata.
E' impossibile congiungersi al Padre, nell'imperfezione della nostra natura umana, che ricordiamo, è composta anche da anima e spirito.
E tale perfezione di anima e spirito che è nella natura umana del Cristo ed alla stessa congiunta, non può permettere la manifestazione di un qualsiasi sentimento o altra cosa che sia, "non perfetto" come quello che ha provocato l'espressione "da esseri non perfetti nello spirito", citata dai due vangeli e che esprime un senso di abbandono marcato da urla di disperazione, cioè testimonia una imperfezione e non dunque una perfezione.
Una natura umana perfetta, lo è solo e soltanto se è nell'unità con il Padre, e tale unità deve per forza essere anch'essa perfetta, perché per essere nell'unità con il Padre perfetto, dobbiamo essere perfetti nella nostra natura umana.
Sostanzialmente, una natura umana perfetta, NON PUÓ MANIFESTARE DUBBIO E SENSO DI ABBANDONO, perché tali cose, qualsiasi cosa esse siano e in qualsiasi modo vogliate definirle, comunque, in ogni caso e senza ombra di dubbio, NON SONO COSE PERFETTE e dunque inconciliabili con una natura umana che si definisca "perfetta".

Ma c'è qualcosa di ancora più "profondo" da considerare: se la natura umana del Cristo è "indivisa ed inseparabile" dalla natura divina del Figlio, ci troveremmo innanzi ad una natura umana che di fatto, pur essendo un tutt'uno con la natura divina, a tutti gli effetti la sovrasta e la ignora con la manifestazione della disperazione e del dubbio espressi proprio dalla natura umana.
Cioè, per intenderci, la natura divina è nell'impossibilità di "frenare" e "controllare" la natura umana più debole che non riesce a controllare lo sconforto ed il senso di abbandono.
E così di fatto è! Lo dicono due vangeli canonici!

Ma andiamo oltre: se questa "imperfezione" evidente la consideriamo "dubbio" od "incertezza", dobbiamo ricondurci al "Peccato Originale" in cui Eva prima ed Adamo poi, misero in dubbio le parole di Dio ascoltando invece quelle del serpente.
Qui dunque si aprirebbero nuove ed incredibili considerazioni che é meglio al momento tralasciare.

Ed andiamo ulteriormente oltre: il Cristo è Figlio di Dio e Dio, ed abbiamo quella famosa "natura umana perfetta" che però manifesta imperfezione PUR AVENDO LA CERTEZZA DELLE CERTEZZE ASSOLUTE, che di lì a poco, tutte le sofferenze termineranno e che finalmente sia la natura umana che quella divina del Cristo, si ricongiungeranno al Padre.
Mi vien da dire: "AVESSIMO NOI POVERI UOMINI UNA CERTEZZA DEL GENERE!!!".
Chi di noi non accetterebbe una qualsiasi morte sofferente come quella del Cristo, pur di avere la certezza matematica di sapere che Dio effettivamente esiste e che comunque andremo a ricongiungerci ad Egli, nell'altra "certezza universale" che stiamo andando al Padre e non alla dannazione.

Ed ancora una considerazione: ci sono stati centinaia (forse migliaia) di santi proclamati dalla Chiesa, che hanno vissuto i loro ultimi attimi di vita nel martirio, SENZA MANIFESTARE DUBBIO ALCUNO OD INCERTEZZA ALCUNA, O COMUNQUE, SENZA ESPRIMERE SENTIMENTI CHE INDICASSERO UN SENSO DI ABBANDONO.
Anzi, ci sono centinaia di esempi di donne e uomini che hanno addirittura manifestato gioia nel morire martirizzati con sofferenze corporee ben  peggiori della crocefissione.

Come poi fare a meno, di non ricordare tutti gli insegnamenti del Cristo che rimproverano la poca fede degli uomini a lui fedeli, quando poi nel momento della prova, il Cristo stesso sembra contraddirsi e dimostrarsi buon "predicatore", ma cattivo "praticatore".
In tal senso, vale per tutti gli esempi, la famosa frase: "Se aveste un briciolo di fede grande quanto un granello di sabbia, muovereste montagne intere".

Conclusioni:
Se dunque è vera e realmente dimostrata per mezzo della mia analisi, l'incoerenza teologica del dogma dell'incarnazione, è dimostrata di conseguenza la fallacità del Concilio di Calcedonia che si pronunciò in materia dogmatica per mezzo di quella famosa parola, ("definisce") di cui parlo nel post "L'Abominio della Desolazione". Questa volta, la parola "definisce" c'è!
Infatti, a monte della definizione dogmatica dell'incarnazione sopra riportata, il Concilio di Calcedonia così si espresse:
<< Confermando anche noi, quindi, le decisioni e le formule di fede del concilio radunato un tempo ad Efeso [43I], cui presiedettero Celestino [vescovo] dei Romani e Cirillo [vescovo] degli Alessandrini, di santissima memoria, definiamo che... >>
(l'intero testo lo trovate oltre che nel sito internet della Santa Sede, anche in:
Dunque cade il principio dogmatico che asserisce l'infallibilità conciliare.
Se decade l'infallibilità conciliare, decade l'infallibilità papale e se decade l'infallibilità papale decadono tutti i dogmi mariani.

Se effettivamente così stessero le cose, ci troviamo innanzi a nuovi scenari e nuove questioni che non credo valga in nessun caso affrontare.

Io dico semplicemente questo: nella nostra miseria umana, ci è impossibile definire certezze divine, e dunque la nostra preoccupazione prima, non deve essere cercare di capire in merito a Dio, ma semplicemente vivere come Dio ci ha insegnato, e prima ancora, cercare di capire noi stessi.
Se tutte le energie umane, tutto il denaro, e tutto l'immenso lavoro che migliaia di uomini hanno speso per discutere su cose a loro stessi incomprensibili e che comunque non hanno mai trovato l'unanimità, fossero stati impegnati per cercare di migliorare il mondo secondo la reale valenza delle parole del Cristo, noi a quest'ora vivremmo nella beatitudine terrestre.

Un'ultima importantissima cosa!
Nel post "L'Abominio della Desolazione" ho commesso vari errori, e primi fra tutti, quello della superficialità e della superbia.
Dunque, poiché potrei avere nuovamente commesso tali errori non di poco conto, o altri, chiedo a tutti voi che leggete, di farmi sapere la vostra opinione ed il vostro giudizio.
E' una autentica e sincera richiesta, che potrebbe aiutarmi là dove sbaglio e dunque aprire la mia coscienza a nuove vedute e nuovi orizzonti che al momento non vedo.



Considerazioni personali:
Io non voglio sostenere nulla che abbia la pretesa di definirsi "verità" e che sia in opposizione a smentita dei contenuti teologici di quanto la Chiesa Cattolica ha definito "dogma".
Sostengo invece che il concetto di "dogma" é improponibile all'uomo e dunque non il suo contenuto.
In merito, riporto alcune frasi da me scritte ed indirizzate al Dott. Eugenio Scalfari da cui non ho mai avuto risposta alcuna, che a mio parere concisamente descrivono le motivazioni per le quali ritengo che il concetto dogmatico sia un insulto all'uomo, oltre ad una negazione dei suoi diritti fondamentali da Dio stesso concessi verso le Sue creature, in virtù di quel principio fondamentale che la Chiesa Cattolica definisce "libero arbitrio", parola questa slealmente, a mal modo ed impropriamente usata dalla Chiesa, per affermare che l'uomo é libero di scegliere fra il peccare ed il non peccare.
E' invece più corretto e leale affermare, che il "libero arbitrio" è la possibilità da Dio agli uomini concessa, di liberamente interpretare e considerare la Parola di Dio, pur rimanendo vincolati nell'osservazione delle leggi di Dio.
In sostanza ritengo che, io sono nella massima libertà quando rimanendo comunque nell'osservanza delle leggi che il Cristo e Dio ci hanno dato, posso liberamente pensare e concepire di Dio e dei misteri che lo avvolgono, in modo personale nel libero confronto con i miei fratelli.
Se osservo il comandamento di Cristo che mi impone di operare nelle mie azioni, come quando pretendo gli altri operino verso me, io posso avere il diritto di pensare liberamente in merito a Dio, senza che questo precluda alla mia possibilità di salvezza, altrimenti vivrei nella costrizione di un pensiero di uomini, verso cose che è umanamente impossibile definire con certezza.
Non essendoci certezza alcuna umanamente dimostrabile, non può esserci pretesa alcuna di credere e far credere in quel dato pensiero, che altri uomini invece, definiscono assurdamente ed ingiustificatamente "principi di verità".
Ed eccovi le parole da me usate nella lettera rivolta al Sig. Scalfari:

<<  Rimane indissolubile, che la fede non può nascere da cose indiscutibilmente dimostrate, altrimenti non sarebbe fede, ma la richiesta di coloro che non hanno fede e desiderano averne, è semplicemente il poter disporre di alcune elementari e logiche basi di partenza, sulle quali poi nell'intima singolarità, poter edificare nuove proprie conclusioni ed accettazioni che possano portare alla fede con l'atto conclusivo del rispettoso confronto umano.
Invece, per mezzo della egoistica superbia umana ad insulto della dignità umana, in affronto alla logica universale che la Verità Assoluta impone ed ha a Se stessa imposto, vi sono stati uomini e tutt'ora ve ne sono, che per millenni hanno preteso e continuano a pretendere, che la fede debba e possa esistere solo ed esclusivamente attraverso l'ormai inaccettabile umano inganno dogmatico, che quasi tutte le religioni hanno imposto e continuano ad imporre.
Il dogma annienta la libertà di pensiero e di ricerca alla verità, è insulto alla ragione della carne ed alla ragione dell'anima, è autentico stupro carnale che si insedia nella mente umana come un cancro, è impedimento alla possibilità di un dialogo costruttivo fra diverse correnti di pensiero, è impedimento al libero e sincero confronto delle coscienze, è atto tirannico dettato da un pensiero presuntuoso, è barriera indistruttibile fra credenti e non credenti, è l’isola della propria coscienza lontana migliaia di miglia dal continente della verità, è violazione al diritto di libertà che il Dio Altissimo ed Autentico e distinto da quello biblico, ha concesso alle Sue creature prime e seconde.
Siamo liberi solo e soltanto se le nostre menti sono libere.

Il dogma è affronto a Dio, è menzogna ed inganno operati dalla presunzione umana di elevarsi conoscitori di verità mai dal divino rivelate.
Il dogma è la garanzia di sopravvivenza che una religione costruisce intorno a se stessa, sopravvivenza questa che si è trasformata in potere politico, economico, sociale e di pensiero.

Il dogma però, in se stesso, non é nulla di quanto sopra descritto; esso diviene tale, quando è impositivo ed imposto; pena alla mancanza accettazione di esso, è la proclamata condizione peccatrice e la conseguente negazione alla salvezza dell’anima.
Dunque il dogma per essere verità di fede, non può negare la libertà della non accettazione di se stesso, poiché diversamente e come di fatto avviene, esso si contraddice con il principio che Dio ha dato massima libertà agli uomini; poiché infatti, può essere l’uomo libero nello spirito se deve dipendere dalle costrizioni di un pensiero?

Il Cristo ha posto un solo ed unico dogma: chi crede in me, crede nel Padre e chi crede nel Padre è nel Padre e se si è nel Padre, si è vincitori sulla morte carnale e nuovi nati alla vita eterna.
Il Cristo non ha posto nessun altro dogma, perché se lo avesse fatto, Egli si sarebbe costituito semplicemente come nuova religione e null'altro.
Il Cristo invece si è costituito per obbedienza al Padre, testimone delle leggi del Padre stesso. >>.

Commenti

Unknown ha detto…
Credo che non sia il tempo a dare risposte alle domande, ma la sete di verità, sopratutto di quanto sia in grado l'individuo di sacrificarsi nei momenti più dolorosi nell' arco della sua vita.perche' per esperienza personale quelli sono i momenti"non quantificabili in giorni ect". Per il semplice motivo che avvengono cose dove il tempo non entra. Il dolore intenso chiaramente arriva dopo giorni di forte angoscia quindi quando arriva il giorno che convivono perché era inevitabile,provoca lo svuotamento interiore per fortuna vuoi per la resa verso la morte "che qualcuno crede nemica e senza compassione" o perché sei già dalla nascita con la grazia che quando sbagli in qualcosa se ne sei voluto essere in grado ti viene ha rimettere "devo dire nel mio caso che da giovane,(adesso ho 50 il primo giugno)mi dava più tempo prima di venire per farmi pagare il conticino e rimettermi al mio posto. Prima anche 1 mese adesso pochi giorni. Comunque l' angocia poi l'arrivo del dolore se _"sei furbo" dissolvono le porcherie accumulate nella carne,poi il silenzio e la solitudine ti aprono per alcuni l'inaccessible per il tempo che sei capace per farlo rimanere
e parlo di me perché la cosa mi fa'anche un po'cadere le braccia perché almeno per me"ma posso anche capirne il senso" la cosa più difficile al giorno d'oggi è poter rimanere in quello stato di grazia permanente primo perché non bisogna dare le perle hai porci"mentre hai cani si potrebbe ma credendo che chi di loro si prende cura è un Dio anche solo per essere in grado di agitare un fazzoletto nell'aria e quindi per sudditanza cantarsela". Secondo perché sono doni di"D'io" perché ho saputo incanalare momenti di "morte" per cercare la vita. Anche essedo un solitario dopo tempo per distrazioni e poco autocontrollo sullo spirito perdi parte della fortuna che hai avuto ma non la memoria"consapevolezza". Una cosa che non mi ha turbato è aver capito che dipende anche
Che valore dai all'evento"morte" e di chi. Mi spiego tra i "miei" due cani morti poca distanza l'uno dall'altro e la morte di mia mamma il dolore è stato simile ma ho raggiunto più profondità con i cani probabilmente perché senza parola e naturalmente indifesi al nefasto uomo traditore, più consapevole che mia mamma essere umano e avendola amata come mia nonna più di me stesso dovevo dare ancor meno peso alla muta del corpo. Be'vorrei avere ancora scrivere ma odio i cellulari come i suoi affini e ho fatto una fatica tremenda. Sono stato spinto e con vera gioia e ringrazio l'artefice dalla risposta data in risposta ad un post dove alla domanda se ci fossero parti inedite im risposta arrivò che il lavoro è solitario e certosino e gli scritti regalati sono per questo perché c'e grande sacrificio in tutti i sensi sopratutto non è delegabile seno' saremmo tutti Gesù Cristo e senza condizioni. Im più si è nella ricerca e più lei si allontana per logica da solo si dona all'umiltà di chi la fa se in mille si divide in mille verità più i vari depistaggi per avidità, gelosia, arroganza e già no non si fa' piu trovare o se si sarà tardino perché il corpo invecchiato e lo spirito se posso(incazzato). Scusatemi per la lungaggine e possibili errori ortografici, molto piacere e senso di appagamento per spiegazione delle frasi meravigliose del V vangelo e devo con poca umiltà ma contentezza di completarne con lo stesso pensiero la spiegazione. Grazie all'artefice che, stato scelto con perfezione mi ha fatto completare ancor di più. Grazie

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